Metti una domenica in caseificio con dei casari amici
In ogni caseificio che si rispetti, in cui si producano formaggi a latte crudo dal solo latte dei propri animali, c’è sempre una casara o un casaro in vena di provare, sperimentare, capire meglio una materia prima che non è mai uguale a sé stessa. E che è viva come poche altre.
È un mondo, quello del formaggio a latte crudo, che non baratteremmo con nient’altro, per mille motivi che non è facile raccontare: dall’amore per i propri animali all’attaccamento per la terra. E poi il coagulare, il formare, il far maturare le proprie creazioni: tutte attività in apparenza estremamente tecniche ma sempre un poco alchemiche. Pregne del fascino ammaliante di qualcosa che a volte rischia di sfuggirti, ma che poi, inevitabilmente e con il necessario impegno, torna addomesticata nel dominio pieno del casaro.
Si badi bene, stiamo parlando di realtà in cui restano fuori dalla stalla i mangimi e gli additivi; e dal caseificio i fermenti e i coagulanti non naturali. Realtà che alla fine non sono poi molte, in un territorio come il nostro, e che in un veloce ed efficace tam tam riescono a condividere, decidere e fare, più di quanto si possa immaginare. Radio stalla, o radio caseificio sono sempre accese e ben sintonizzate, com’è capitato giorni fa a tre di noi, con la brillante idea di fare formaggio tutti assieme, per poi ritrovarci in otto (il potere del passaparola!), cinque casari, un aiuto casaro e due tecnici, a fare e spiegare l’uno agli altri, e a confrontarci. E inevitabilmente a crescere.
Così è andata che ci siamo visti, qui allaFattoria Ma’ Falda, una domenica mattina di febbraio, con noi che ancora non avevamo latte (le nostre capre stavano partorendo) e alcuni colleghi che sono arrivati con il loro, entrambi di allevamenti estensivi. Due latti ovini diversi (da razze Sarda e Lacon), ma entrambi sanissimi: niente di meglio per poter sperimentare un paio di ricette insieme. Per capire un po’ di cose attorno alla rottura della cagliata, e per preparare un po’ di prodotto utile a comprendere, in futuro, lo sviluppo delle muffe all’interno del formaggio, la proteolisi, la lipolisi.
“Anche se questo inverno è stato davvero mite” – ci siamo detti – “con un latte primaverile da pascoli buoni, bello grasso, il risultato sarebbe stato anche migliore”. Ma tant’è: abbiamo lavorato sulla tecnica e la tecnologia (quella non invasiva!) e il banco di prova è stato più che utile, per tutti.
Per chi è venuto qui con l’intento di mostrarci la produzione della mozzarella di pecora, la soddisfazione è stata grande: gli ridevano gli occhi. Nessun altro la sapeva fare, e ora il mestiere è di ciascuno di noi. Il risultato? Buono e più che buono: davvero non pensavamo di riuscire in tanto. L’erborinato invece è stato aperto giorni fa, una volta giunto a maturazione. E l’esito ha superato le aspettative. Per noi è il preludio alla messa in produzione: tra poco arriveranno un po’ di pecore sarde nella nostra stalla, e allora si passerà dalle prove ai fatti. Ma questa è un’altra storia, e ve la racconteremo più avanti.
Restate sintonizzati anche voi. Ne vedrete delle belle, e ne assaggerete delle buone. Parola di casara, parola di Åste!